27
Nov

Quale futuro per la casa sociale?

Lo stravolgimento del mercato immobiliare ha da un lato
favorito la crescita dell’intero settore, dall’altro, a causa anche dell’inadempienza delle istituzioni, ha contribuito ad acuire gli scompensi sociali nell’accesso all’acquisto della casa. Un’analisi di Scenari Immobiliari offre l’occasione per una riflessione sul tema. 

Quando di parla di «social housing» o di «casa sociale» si va a mettere in relazione il tema dell’abitazione inteso come bene primario, così come sancito da ogni istituzione democratica, con le valenze sociali che tale tema acquista se relazionato al contingente assetto politico-economico di un Paese. 

Per comprendere il tema delle abitazioni sociali è necessario quindi, dopo aver analizzato la situazione del mercato immobiliare, considerare i cambiamenti della società, e quindi dei soggetti che rappresentano la domanda. Se un tempo erano solo le fasce di popolazione più disagiate a richiedere abitazioni a basso costo o a canoni calmierati, la nascita di nuclei familiari diversificati (famiglie mono-componente, coppie separate, lavoratori in mobilità, studenti) ha generato un’ampia fascia di popolazione con redditi troppo alti per rientrare nel- la soglia di povertà stabilita dalle istituzioni, ma in realtà impossibilitata ad accedere al libero mercato immobiliare, soprattutto nei grandi centri urbani. 

Ad aggravare questa situazione è stato un periodo di tempo prolungato, che ancora non accenna a terminare, di inadempienza da parte delle istituzioni nel campo dell’edilizia pubblica. 

Se si eccettuano sporadici interventi di edilizia convenzionata, spesso mal gestiti e con prezzi imposti di costruzione e vendita insostenibili per un investitore privato, il mondo politico non è stato in grado di redigere una seria programmazione a media-lunga scadenza che portasse alla costruzione 

del consistente numero di alloggi che il mercato reclama. Con la fine dell’era InaCasa dei primi anni Sessanta, discussa e discutibile, ma sicuramente in grado di produrre concretamente delle costruzioni pubbliche seppur di dubbia qualità e naufragata a causa dei problemi gestionali di un patrimonio immobiliare tanto grande, lo scenario delle abitazioni pubbliche si è progressivamente bloccato. E a nulla sono serviti i contributi Ges.Ca.L. (Gestione Case Lavoratori) introdotti con la legge 60 del 1963 e proseguiti fin negli anni Settanta: ben presto le 

somme raccolte iniziarono a essere utilizzate per scopi diversi da quelli originari, tanto da portare alla loro soppressione nel 1974. 

La situazione, oggi 

Oggi l’Italia, come riporta l’analisi effettuata da Scenari Immobiliari, è, tra le grandi nazioni europee, il Paese con la più bassa percentuale di alloggi in «affitto sociale». A rientrare in questa tipologia, secondo la Cee, solo il 4% dello stock totale: poco più di un milione di alloggi che circa per il 75% appartengono agli Iacp e per il resto sono proprietà di comuni o di altri enti territoriali. Secondo il dlgs. 

112 del 1998, sono responsabili del social housing le regioni, che devono pianificare le risorse finanziarie, determinare i criteri di accesso agli alloggi sociali e i livelli dei canoni, mentre alle cooperative spetta la realizzazione degli alloggi solo a favore dei propri iscritti. I tipi di sostegno finanziario previsti sono tre: 

edilizia sovvenzionata, ovvero il finanziamento at- traverso contributi diretti alle famiglie a basso reddito; questo comparto è gestito da comuni e Iacp; 

edilizia agevolata, ovvero il sostegno a favore delle famiglie con un reddito medio, interessate a acquistare o affittare un alloggio con la concessione di prestiti a tassi agevolati previsti dalla 179/92; questo comparto è gestito dalle cooperative edilizie che, in base alla legge 457/78, possono utilizzare risorse pubbliche; 

edilizia convenzionata, con costi di trasferimento e canoni regolamentati da accordi specifici stipulati tra comune e cooperative o società di costruzioni a livello locale. 

Nel frattempo il mercato degli affitti è stato liberalizzato con l’introduzione dei patti in deroga, del 1992, e la legge 431 del 1998, sostitutiva dei patti in deroga e della legge sull’equo canone, con lo scopo di favorire l’accesso al mercato degli affitti per le famiglie di red- dito medio. Per i nuclei familiari a più basso reddito, era stata prevista l’istituzione di un fondo nazionale di sostegno per l’accesso alle abitazioni in locazione, finanziato da Stato, regioni e comuni. Un fondo sociale per l’affitto che, però, dalla dotazione iniziale di 500 milioni di euro, è passato a 230 milioni, oggi. L’intervento pubblico dello Stato è ai minimi storici, proprio in un momento di profonda trasformazione del territorio urbano a cui il mercato immobiliare deve saper rispondere in maniera adeguata. Non è un caso quindi se la maggior parte, se non la totalità delle iniziative in atto, nascono da forti interventi privati, pur con tutte le difficoltà che ne derivano: è abbastanza chiaro come per un investitore privato risulti molto rischioso imbarcarsi nella costruzione di alloggi a basso costo senza un concreto aiuto pubblico, con i già ristrettissimi margini di profitto che oggi sussistono. 

Le imprese sociali 

Molto interessanti sono le entità rappresentate dalle cosiddette «imprese sociali». Si tratta, così come definito dal Codice Civile, di «organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano… un’attività economica organizzata… 

di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale». 

In campo edile sono ormai molteplici le imprese sociali che operano sul territorio ed hanno come campo di azione sia la costruzione di singoli manufatti edilizi quali ostelli, case di accoglienza, residenze per studenti (per esempio la Casa a Colori di Padova) oppure addirittura la realizzazione di interi quartieri o complessi residenziali (come il Villaggio Barona a Milano). 

Si tratta di realtà importanti, la cui natura puntuale però, fa sì che esse siano molto radicate al territorio in cui si sviluppano e non possano essere considerate una vera alternativa a dei piani generalizzati per l’edilizia pubblica: si esauriscono spesso (proprio a causa della loro struttura no profit) in interventi di carattere puntuale e non portatori di concreti miglioramenti a livello generalizzato. 

Il problema è quindi urgente oltre che di chiara importanza sociale: si tratta di definire, e a breve termine, quale sarà il futuro per l’housing sociale in Italia e soprattutto, vista l’attuale situazione, se ve ne sarà uno. 

Prospettive per il ruolo delle istituzioni 

È necessario un forte cambiamento di rotta da parte delle istituzioni, con un ingresso deciso da parte del- l’operatore pubblico nella costruzione degli alloggi a basso costo. 

Purtroppo, come ben sappiamo, molto scarse sono le finanze statali in questo ambito quindi auspicare un intervento diretto da parte delle istituzioni sarebbe quasi utopico. 

Ben diverso invece, e molto più realizzabile, potrebbe essere un intervento indi- retto in cui favorire gli investitori privati a interventi di carattere sociale, tramite per esempio un abbatti- mento degli oneri di urbanizzazione, oppure aumenti delle volumetrie realizzabili in cambio di porzioni di lotti da destinare ad alloggi a basso costo. 

Tante potrebbero essere le soluzioni, si pensi per esempio alle nuove logiche introdotte dai prossimi Pgt (Piani di Governo del Territorio) in cui metodi quali la perequazione urbanistica potrebbero aiutare molto in questo senso, permettendo logiche di scambio di volumetrie realizzabili in cambio di alloggi a basso costo tra le Amministrazioni Comunali e i singoli investitori. 

Gli strumenti, quindi, ci sono. 

Ora si tratta solo di intraprendere questo nuovo processo con la necessaria determinazione.